Delitto Gucci, l’ex moglie Patrizia Reggiani: «Ho fatto ammazzare Maurizio per stizza»- Corriere.it
Maurizio Gucci insieme con l’allora fidanzata Patrizia Reggiani nel 1972. I due si sposarono l’anno successivo ed ebbero due figlie. Gucci fu ucciso nel 1995 e l’ex moglie fu arrestata il 31 gennaio del 1997 e ha scontato 20 anni di carcere
Patrizia Reggiani è dapprima una silenziosa indagatrice del prossimo, del quale studia corpo e abbigliamento, mossa dall’evidente aspirazione a individuare eventuali armonie e disarmonie dell’essere umano e della sua presenza in scena, in questo caso il salotto della villa a tre piani più torre tra il tribunale e la sinagoga dentro il quale, sotto il suo sguardo severo, si muove leggero il personale di servizio. Patrizia Reggiani sa gestire il tempo e le lunghe immote pause in presenza di un estraneo, forse eredità dei quasi vent’anni di carcere a San Vittore per essere stata la mandante dell’omicidio dell’ex marito Maurizio Gucci, assassinato nel 1995. Ma è, Patrizia Reggiani, una donna che a domanda risponde, pur se lei evoca ricordi e finge di non rammentare dettagli salvo proporli poi, più avanti, fuori sincro, oppure scandisce così netta alcune frasi chiudendo i margini di ulteriori approfondimenti, o ancora mantiene inalterato il basso tono di voce senza distinzione fra gli argomenti, non manifestando quali concetti siano preferibili e quali interrogativi fastidiosi.
Sono le diciassette. È reduce da una seduta di fisioterapia. Nessuna fotografia riflette le sue dimensioni assai minute, elegantemente corredate di bracciali e anelli che non esibisce: seduta sul divano, tiene infatti le mani basse, incrociate. Ha settantadue anni. Offre un chinotto con cubetti di ghiaccio e una torta mimosa di rara bellezza, ma mai come i piattini sui quali poggiano le fette e che osserva soddisfatta. Il programma di giornata proseguirà con la cena e la visione dell’intervista dei reali inglesi Meghan ed Harry.
Come nacque la storia con Gucci?
«Ci trovammo a uscire in quattro. Io e il ragazzo con cui flirtavo, e una mia amica che faceva lo stesso con Maurizio. Andavamo al Nephenta, in piazza Diaz, e negli altri migliori locali di Milano. Ho sempre adorato far tardi e, di conseguenza, svegliarmi tardi. In sincerità lo facevo anche in carcere. Comunque: dopo le iniziali uscite a quattro, trascorsero dei giorni, delle settimane. Ci divertivamo un mondo. Cene, feste, eventi… Seppi dall’amica che Maurizio mi aveva messo gli occhi addosso, fin dall’inizio, e che a un certo punto lei si era arresa, lasciandogli il campo libero. Soltanto che io non mi ero accorta di un bel niente. Quei suoi occhi sembravano quelli di un pesce lesso, e comunque ero la regina di Milano, insomma, bisognava andarci piano con me… Quando quel quartetto si sgretolò, perché le due coppie sparirono in virtù della creazione di una sola – quella formata da me e Gucci – e iniziai a stare con lui, per prima cosa lo portai dal parrucchiere. I capelli con la brillantina non si potevano vedere. Per la verità, nemmeno un dente mezzo rotto che aveva sul davanti».
Insomma, non fu colpo di fulmine.
«In lui cresceva lo slancio a mia completa insaputa. Zero proprio».
E invece che cosa successe?
«Successe».
Fu amore?
«È stato amore, grande amore. Senza dubbio».
Sopra, il corpo di Maurizio Gucci viene portato via dal palazzo di via Palestro 20, dove è stato ucciso, il 27 marzo 1995. Sotto la prima pagina del Corriere all’epoca Sopra, il corpo di Maurizio Gucci viene portato via dal palazzo di via Palestro 20, dove è stato ucciso, il 27 marzo 1995. Sotto la prima pagina del Corriere all’epoca
Siete stati felici?
«Sì».
Davvero?
«Sì.»
E fu anche passione?
«Non pari all’amore nelle fasi originali. Io ero illibata».
Che coppia siete diventati?
«Siamo stati una bella coppia. Fin quando si sono messi in mezzo dei suoi amici. Hanno fatto gruppo contro di me e lì è iniziata la rovina. Una costante opera di isolamento».
Per quale motivo?
«L’hanno fatto e basta».
Nella degenerazione del matrimonio l’amore s’è lentamente trasformato in odio? La coppia si incrina e frantuma, dilaniata da incomprensioni, litigi, ripicche, suo marito che la abbandona per un’altra mentre lei si ammala di una bestia atroce… Per questo ha deciso di farlo uccidere? Odio?
«Nessun odio. Io non odiavo Maurizio. Non l’ho mai odiato. È stata stizza, la mia. Mi stizziva. Andavo dal salumaio e domandavo se conoscesse qualcuno che ammazzava la gente. Pensare che anni prima, avevano assassinato un conoscente di Maurizio e ci trovammo a parlarne. Eravamo alle Galapagos. Io ripetevo – e non mentivo – che non ne sarei mai stata capace. Mai».
Dunque fu la stizza? Si commissiona un assassinio per la stizza?
«Così le ho detto».
Patrizia Reggiani in aula dopo l’arresto, per il processo in cui è stata condannata come mandante dell’omicidio di Maurizio Gucci, suo ex marito (Dal Zennaro/Ansa) Patrizia Reggiani in aula dopo l’arresto, per il processo in cui è stata condannata come mandante dell’omicidio di Maurizio Gucci, suo ex marito (Dal Zennaro/Ansa)
Da allora a ora. Il 27 marzo 1995. Corso Venezia. Un sicario. Una pistola calibro 32. Proiettili destinati a Maurizio Gucci; ha 46 anni e per dieci è stato presidente del marchio di moda; lascia la casa in corso Venezia 38, attraversa la strada e prende via Palestro; entra nel palazzo al civico 20 dove ha sede la sua nuova società, la Viersee; cammina; il killer gli sta dietro, spara, lo uccide, scappa. Due anni di indagini a vuoto, forse depistate dal labirinto infinito dei milioni e milioni di lire fra aziende, banche, località estere, tracce che esplorano l’alta finanza e i suoi segreti, debiti e prestiti, scenari che aprono interconnessioni con sceicchi arabi e contabili svizzeri. Indagini riaperte e concluse grazie a una soffiata. Cinque arrestati. Tre uomini, due donne. Benedetto Ceraulo: muratore (il killer); Orazio Cicala, imprenditore devastato dai debiti di gioco (l’autista del sicario); Ivano Savioni, portiere d’albergo nella zona di via Lulli, hotel a ore per amanti (organizzatore dell’agguato); Giuseppina Auriemma, che si spacciava per cartomante e sensitiva (intermediaria); infine lei, Patrizia Reggiani. Una banda di scappati di casa anziché un commando di fuoco. E invece…
Li ha più rivisti o sentiti?
«Quelli della banda bassotti, i tre, no».
La maga?
«Nemmeno».
Si dice che già due persone che condividono un segreto sono troppe.
«Auriemma mi chiamava una, due, tre volte al giorno. Parlava, commentava…».
Ma trascorsero due anni, la polizia aveva dei sospetti – forti sospetti – senza riuscire però a individuare uno straccio di indizio. Forse lei, Patrizia, credeva che non vi avrebbero mai scoperto. Ma era un esercizio razionale? Un delitto così mediatico, così oggetto di pressioni affinché venisse risolto, ambientato a Milano, quella Milano…
«Quando la governante mi avvisò dell’arrivo degli agenti, questi dissero che sarei finita in carcere ma per poche ore. Due, tre giorni al massimo e tornavo a casa».
«I PERMESSI PREMIO? NON VEDEVO L’ORA DI TORNARE IN CELLA. LÌ MI SENTIVO AL SICURO. ORA ATTENDO LA MORTE. FORSE MI REINCARNERÒ, IN UNA COCCINELLA»
Ha avuto ammiratori, mentre era a San Vittore?
«Un uomo mi ha scritto a lungo. Prometteva che, uscita, avrei trovato uno yatch in dono. Trenta metri di lunghezza».
L’ha trovato?
«No, ma quello aveva smesso di scrivere».
Donne le hanno spedito lettere?
«No».
Mitomani?
«Parecchi».
Che cosa volevano?
«Non ne ho idea».
Patrizia Reggiani ai tempi del processo, accompagnata dalle guardie penitenziarie Patrizia Reggiani ai tempi del processo, accompagnata dalle guardie penitenziarie
Ha paura?
«Paura?»
Che cos’è stato il carcere?
«Quando ho iniziato a usufruire dei permessi premio, non vedevo l’ora di tornare in cella. Stare fuori mi spaventava. Mi spaventavano, come dire, le molteplici complicazioni nella gestione della mia esistenza successive alla cattura e alla detenzione… Dentro, in prigione, mi sentivo al sicuro».
E adesso che è definitivamente libera?
«Ho avuto la fortuna, a San Vittore, di avere come direttore Luigi Pagano. Averlo, è stato un privilegio per me e centinaia di detenuti. Lo penso spesso».
Da allora a ora. Stanno girando a Milano il film sulla storia di Patrizia Reggiani. Ridley Scott il regista, fra i protagonisti Al Pacino. Hanno già chiuso le riprese a Roma e Gressoney.
Lei sarà interpretata da Lady Gaga.
«Va bene, mi somiglia».
Ha conosciuto qualcuno della produzione?
«Nessuno. Avevano cercato mia mamma, ma con me non si sono fatti vivi, non hanno mandato nulla… Vedrò lo stesso il film, spero nei cinema finalmente riaperti».
Non teme che, non avendola consultata, magari usciranno inesattezze, verranno adottate soluzioni narrative non aderenti alla realtà?
«Non ne vedo il motivo. Dovrei?».
Patrizia Reggiani il giorno della scarcerazione, nel 2017 Patrizia Reggiani il giorno della scarcerazione, nel 2017
Uno dei dati è la distanza temporale tra lei e Milano. Si è persa vent’anni, di questa città. Una trasformazione epocale nell’urbanistica, nel tessuto sociale, nell’anima della borghesia…
«Di allora mi mancano i miei locali. Nient’altro».
Sono rimasti angoli del cuore?
«Mai avuti».
Forse vorrebbe vivere altrove?
«Mah. Forse New York. Avevamo un magnifico attico, nella Olimpic Tower. Vedevo il mondo dall’alto. È una sensazione che mi dà pace e soddisfazione».
Lei pensa alla morte?
«La attendo.»
In che senso?
«Sono divorata dalla curiosità di sapere come possa essere».
E come potrà essere?
«Appunto, mi piacerebbe scoprirlo. Verrò cremata, le ceneri lanciate in mare dal mio antico veliero. Poi, forse, mi reincarnerò».
Lady Gaga, che interpreta Patrizia Reggiani, insieme con Adam Driver, che interpreta Maurizio Gucci a Gressoney: il regista è Ridley Scott e il film si intitola «House of Gucci» (foto Karma Press) Lady Gaga, che interpreta Patrizia Reggiani, insieme con Adam Driver, che interpreta Maurizio Gucci a Gressoney: il regista è Ridley Scott e il film si intitola «House of Gucci» (foto Karma Press)
In chi o cosa?
«Spero una coccinella».
Ne ha viste mai a San Vittore?
«Due. Non so come, erano riuscite a entrare. Uno spettacolo magnifico. Piccole, leggere, eleganti, colorate, riservate. Dentro un carcere. Quel carcere».
La galera è l’unico luogo dove si tocca veramente l’anima delle persone?
«Si è nudi. Disperati. Ma intendiamoci: solidarietà, d’accordo, però io stavo per i fatti miei e così gli altri stavano per i fatti loro».
Stasera vedrà l’intervista ai reali. Le sarebbe piaciuto vivere a corte?
«Forse. Per il gusto di osservare tutto e tutti con lo sguardo della stilista».
Delitto Gucci: il caso di Maurizio Gucci ucciso dai killer assoldati dalla ex moglie Patrizia Reggiani
Nelle ultime settimane, si sente sempre più spesso parlare dell’omicidio Gucci, avvenuto il 27 marzo 1995. Complice, sicuramente, il fatto che, proprio in questi giorni, a Roma sono in corso le riprese di “House of Gucci”, la trasposizione cinematografica del terribile delitto, che vede tra gli attori principali Lady Gaga e Al Pacino.
Ma cosa è successo quel 27 marzo di 26 anni fa, tanto da scatenare l’interesse di molteplici registi e film?
Il matrimonio tra Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani
La storia vede come protagonisti Maurizio Gucci, l’imprenditore e presidente della casa di moda, nonché nipote di Guccio Gucci, e la ex moglie Patrizia Reggiani.
La coppia si sposa, dopo soli pochi mesi di conoscenza, nel 1973. Fin da subito, il padre dello sposo esprime la sua opposizione, ritenendo la futura nuora un’arrampicatrice sociale. Comunque, dalla loro relazione, caratterizzata da frequentazioni esclusive e regali costosissimi, sono nate le figlie Alessandra, nel 1977, e Allegra, nel 1981.
Qualcosa, però, inizia ad andare storto quando Maurizio Gucci, dopo la morte del padre, diventa l’unico erede e decide di vendere la maison di moda a un fondo arabo. In questo periodo, l’uomo conosce Paola Franchi, una donna più giovane.
I due si innamorano e Gucci, nel 1992, chiede il divorzio dalla moglie.
Delitto Gucci: la morte di Maurizio Gucci
Nella mente di Lady Gucci (uno dei soprannomi riservati alla Reggiani), inizia a muoversi la vendetta. Così, secondo le ricostruzioni, si rivolge all’amica fidata, Giuseppina Auriemma, e le chiede di trovarle qualcuno che possa uccidere l’ex marito. L’amica assolda tre killer non professionisti, poi denominati dalla cronaca come “banda bassotti”: Ivano Savioni, Orazio Cicala e Benedetto Ceraulo.
Nelle prime ore del 27 marzo 1995, Maurizio Gucci esce dal palazzo in cui abitava, situato in Corso Venezia, per andare a piedi nell’ufficio della sua nuova società.
Alle 8:30 circa, mentre sale i primi gradini dello stabile, un uomo gli spara 3 colpi al gluteo destro e alla spalla sinistra e un colpo alla tempia. Appena il killer si volta, si accorge della presenza del portiere dell’edificio e rivolge contro di lui l’arma, ferendolo con 2 colpi.
Delitto Gucci: dalle indagini al processo
Iniziano, quindi, le indagini, che inizialmente si concentrano su una pista precisa: gli inquirenti ritengono che l’omicidio sia avvenuto per mano di un conoscente di Maurizio, che aveva deciso di ucciderlo per questioni finanziarie.
Ciò, però, non porta ad alcuno sbocco né indagato.
La svolta arriva due anni dopo, quando la Criminalpol riceve una telefonata da parte di Gabriele Carpanese, il quale sostiene di aver informazioni sul delitto. L’uomo rivela al vicequestore Filippo Ninni di aver saputo, grazie a Ivano Savioni, ovvero uno dei killer, che l’azione delittuosa era stata richiesta dall’ex moglie della vittima, la quale aveva fatto assoldare i tre autori effettivi.
Mediante un infiltrato, vengono raccolti molteplici elementi di prova, che portano, il 31 gennaio 1997, a far scattare le manette per tutti i protagonisti coinvolti.
Il processo inizia il 2 giugno 1998 e si conclude solo qualche mese più tardi, il 3 novembre. La Corte d’Assise di Milano condanna Lady Gucci a 29 anni di reclusione come mandante, Giuseppina Auriemma a 25 anni in qualità di intermediaria, Orazio Cicala a 26, Ivano Savoini a 29 e Benedetto Ceraulo all’ergastolo, in quanto colui che aveva materialmente usato l’arma da fuoco.
I condannati, comunque, vanno in Appello e i giudici riducono lievemente le condanne. Nel 2001, Patrizia Reggiani fa ricorso in Cassazione, ma qui viene confermata la sentenza di secondo grado.
Recentemente, Patrizia Reggiani ha commentato al Corriere della Sera: “Non lo odiavo e non l’ho mai odiato. È stata stizza la mia. Mi stizziva”. Attualmente, la donna ha scontato la sua pena e dal 2017 è libera.
Il commento della criminologa Ilaria Cabula
Il delitto Gucci è uno degli omicidi che hanno destato particolare scalpore tra l’opinione pubblica. Alla base dello sconvolgimento, vi è senza dubbio la notorietà dei due protagonisti, oltre all’efferatezza del delitto e al fatto che la mandante fosse una donna.
Questi elementi, tra loro combinati, sono tuttavia l’emblema di una questione che è bene non dimenticare: la violenza è un fenomeno trasversale. In altre parole, la violenza, che nel caso specifico si è concretizzata con l’omicidio (i.e. tipologia di violenza fisica), è indipendente da caratteristiche quali lo status socio-economico, il genere sessuale o la cultura di appartenenza sia della vittima sia dell’autore del reato.
Non sorprende che Lady Gucci non sia stata la diretta esecutrice del delitto, ma la mandante. La ricerca scientifica evidenzia, infatti, come le donne tendano ad agire nel “dietro le quinte” dell’evento criminoso, pur mantenendo un ruolo rilevante nell’evento stesso.
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Soldi, rancore e timore. Sono queste le tre componenti della " miscela esplosiva " che hanno portato, la mattina del 27 marzo 1995, alla morte di Maurizio Gucci, l’imprenditore italiano presidente dell’omonima casa di moda fino al 1993, ucciso mentre entrava nello stabile di via Palestro a Milano, dove aveva lo studio. Un omicidio che aveva condotto in carcere l’ex moglie dell’uomo, Patrizia Reggiani, accusata di essere la mandante del delitto, e altre quattro persone, tra cui gli esecutori materiali. E ora il delitto dell’imprenditore italiano diventerà un film: sono iniziate in Italia le riprese di “House of Gucci”, diretto da da Ridley Scott, con protagonisti Adam Driver e Lady Gaga.
Il delitto Gucci
La mattina del 27 marzo 1995 Maurizio Gucci uscì dal palazzo in Corso Venezia, dove abitava, per recarsi a piedi nel vicino stabile in via Palestro, sede della società Viersee fondata da poco. Una volta arrivato davanti al portone dell’ufficio, Gucci non si accorse di quella Clio verde parcheggiata lì vicino. A bordo c’era il suo killer. Così verso le 8.30 Gucci entrò nel palazzo, ma fece appena in tempo a salire i pochi gradini che separano la portineria dall’androne: un uomo entrò nello stabile, gli sparò tre colpi alla spalla sinistra e al gluteo destro, poi si avvicinò, lo finì con un ultimo colpo alla tempia e si girò per andarsene. Fu allora che vide, poco dietro la porta di ingresso, il portiere dello stabile, che quella mattina stava facendo il suo lavoro, come sempre. Il sicario esplose due colpi anche in direzione dell’uomo, ferendolo a un braccio. Poi uscì di corsa e salì a bordo della Clio verde, guidata da un complice. Morì così Maurizio Gucci, erede della nota casa di moda. E da quel momento iniziò il caso che, tra indagini, operazioni sotto copertura e colpi di scena, ha tenuto col fiato sospeso l’Italia degli anni ‘90.
Le prime indagini si concentrarono sugli affari della vittima, che pochi anni prima aveva ceduto il marchio delle due G alla società araba Investcorp, già proprietaria del 50% del pacchetto azionario. Inizialmente le ricerche condussero gli investigatori in Svizzera: “Una pista precisa non c’è ancora - aveva rivelato il sostituto procuratore che si occupò del caso Carlo Nocerino, come riportò l’Unità all’epoca - anche se quella che riguarda le ultime operazioni finanziarie concluse dalla vittima sembra la più attendibile “. Per questo si iniziò a ricostruire luci e ombre degli affari di Maurizio, passando al setaccio vecchie e nuove conoscenze, per capire se qualcuno in campo finanziario potesse avere interesse a uccidere l’uomo. Ma dopo mesi di indagini in quel campo non emerse nulla. E per due anni nessuna novità scosse il caso Gucci.
Carlos, sotto copertura tra i killer
A dare una svolta alle indagini fu una telefonata, arrivata alla Criminalpol la sera dell'8 gennaio 1997, quasi due anni dopo la morte dell’imprenditore. All’altro capo del filo c’era un uomo, Gabriele Carpanese, che chiese di parlare con il vicequestore Filippo Ninni, sostenendo di avere informazioni sull’omicidio di Maurizio Gucci. Secondo le sue dichiarazioni, dietro al delitto ci sarebbe stata la mano di Patrizia Reggiani, ex moglie della vittima, che avrebbe chiesto all’amica Giuseppina Auriemma di trovarle un killer. La donna quindi si sarebbe rivolta a Ivano Savioni (con cui Carpanese era venuto in contatto, raccogliendo le sue confidenze sul caso Gucci), che avrebbe assoldato Benedetto Ceraulo e Orazio Cicala. Gli inquirenti non persero tempo e inviarono l’informatore, munito di una cimice, a parlare con Savioni che, durante la conversazione, chiese a Carpanese di trovare un sicario per fare pressioni sulla Reggiani, di modo da chiederle più soldi. A quel punto si presentò agli inquirenti l’occasione perfetta per infiltrare un proprio uomo: così nacque il personaggio di Carlos, un colombiano senza scrupoli.
" Prima di incontrare Savioni, ho fatto un paio di telefonate in albergo per chiedere di Gabriele. Parlavo spagnolo “, aveva raccontato l’agente sotto copertura all’Unità. Poi avvenne il primo incontro in una saletta dell’albergo dove lavorava Savioni: " Ho avuto la sensazione che Savioni volesse mettermi alla prova - continua Carlos nell’intervista - Non ho mai detto una parola in italiano, Gabriele faceva da interprete. Quindi, mi offrono una tazzina di caffè, mi chiede se voglio lo zucchero aspettando una risposta immediata. Io non faccio una piega, guardo le altre due tazzine, avevano del latte. Rispondo in spagnolo ‘no, non prendo latte’. Poi parliamo della Colombia. Gabriele gli presenta il mio curriculum di pericoloso killer legato alla mafia di Medellin “. Poi l’occasione: Savioni diede a Carpanese le chiavi della sua auto, inviandolo al ristorante insieme al colombiano. Il fortunato avvenimento permise agli inquirenti di piazzare sulla macchina le microspie necessarie a carpire informazioni. L’incontro successivo avvenne dopo una settimana: " Savioni mi aveva fatto sapere tramite Gabriele che gli serviva aiuto per spillare nuovi soldi a Patrizia Reggiani “. Conversazioni registrate, rivelazioni raccolte e passi falsi fecero giungere gli investigatori a una conclusione del tutto distante dagli affari finanziari dell’imprenditore, che erano stati al centro delle indagini subito dopo l’omicidio. E per i componenti della banda che ha organizzato e portato a termine il delitto scattarono le manette, il 31 gennaio del 1997: l’accusa era quella di omicidio premeditato e tentato omicidio.
Le condanne
Benedetto Ceraulo venne accusato di aver premuto materialmente il grilletto quella mattina del marzo 1995, mentre Orazio Cicala lo aspettava alla guida della Clio verde. I due, secondo i giudici, erano stati assoldati dal portiere d’albergo Ivano Savioni, che a sua volta era stato contattato da Giuseppina Auriemma, una “maga”, come la definì la stampa del tempo. La Auriemma era amica intima di Patrizia Reggiani: a lei l’ex signora Gucci rivelava pensieri e desideri, tra cui anche quello di sbarazzarsi di Maurizio. “Io credo che il ruolo di Pina Auriemma sia stato determinante nella vita della Reggiani - ha rivelato a IlGiornale.it la criminologa e psicoterapeuta Margherita Carlini - lei stessa disse che nell’Auriemma aveva trovato la persona con cui confidarsi e forse senza di lei la Reggiani non sarebbe riuscita a esternare questi aspetti così negativi come la volontà di uccidere”. Secondo la procura, il piano per l’omicidio dell’ex marito costò alla Reggiani 600 milioni di lire.
Il 2 giugno 1998 iniziò il processo: c’erano cinque persone accusate di aver organizzato e messo in atto il piano che portò alla morte di Maurizio Gucci. E il 3 novembre dello stesso anno la Corte d’Assise di Milano dichiarò tutti gli imputati " colpevoli dei reati a loro ascritti “, condannando la Reggiani a 29 anni di carcere quale mandante dell’omicidio e l’Auriemma a 25 anni, riconoscendola come intermediaria. A Savioni e Cicala venne riconosciuta una pena pari rispettivamente a 26 e 29 anni di reclusione, mentre per Ceraulo che aveva sparato il giudice decise di applicare l’ergastolo. I giudici di secondo grado, di fatto, confermarono la colpevolezza di tutto il gruppo, ma la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 17 marzo 2000 ridusse le condanne: 26 anni per Patrizia Reggiani, 19 anni e 6 mesi per Pina Auriemma, 28 anni 11 mesi e 20 giorni a Ceraulo, 26 a Cicala e 20 a Savioni. L’ex signora Gucci fece ricorso in Cassazione, che il 19 febbraio 2001 confermò la sentenza di secondo grado, riconoscendo la donna come mandante dell’omicidio. Il movente sarebbe stato un insieme tra l’aspetto passionale e quello economico: “Quello che i giudici riportano - spiega la criminologa Carlini - è una sorta di miscela esplosiva, cioè una serie di variabili che hanno influito sulla decisione di compiere il delitto. Si tratta di tre elementi: in primo luogo il rancore dovuto alla percezione di un’estromissione da un certo status, in seconda battuta il timore di perdere l’eredità e l’avidità legata all’assegno di mantenimento che la Reggiani si vedeva diminuire e infine una componente importante è stata quella emotiva e passionale”. Nonostante le perizie Patrizia Reggiani non venne mai dichiarata incapace di intendere e di volere, ma secondo i giudici di primo grado la donna soffriva di un disturbo della personalità di tipo istrionico-narcisistico. Ma cosa significa? “la persona istrionica è caratterizzata anche dalla manifestazione esasperata di determinati vissuti - spiega la criminologa - e con narcisistica si intende una personalità che può avere difficoltà ad accettare e gestire il rifiuto. Nel corso del processo la difesa aveva provato a chiedere il vizio di mente, anche legandolo al tumore al cervello per cui la Reggiani era stata operata, ma poi la capacità di intendere e di volere venne dichiarata integra, perché venne riconosciuta un’organizzazione nelle fasi precedenti e successive all’evento”.
La “Liz Taylor della griffe”
Patrizia Reggiani, che negli ambienti del jet set internazionale era stata soprannominata la " Liz Taylor della griffe " per la somiglianza con l’attrice statunitense, si dichiarò " non colpevole “. " Non posso dirmi innocente - aveva rivelato la donna in un’intervista rilasciata a Franca Leosini per il programma Storie Maledette - per tutti gli svarioni che sono andata in giro a dire “. Gli " svarioni " a cui allude la Reggiani sono le frasi, ripetute nel corso del tempo, circa la volontà di uccidere Maurizio Gucci.
Patrizia divenne la signora Gucci nel 1973 ma nel 1985, dopo la nascita delle due figlie Alessandra e Allegra, Maurizio lasciò la moglie per un’altra donna, Paola Franchi. Nel 1992 la Reggiani e Gucci divorziarono ufficialmente. Ma in quegli anni in Patrizia crebbe sempre più velocemente un rancore cieco e l’allontanamento dell’ex marito anche dalle figlie aumentò la voglia di vendetta. " Dicevo: ‘Trovatemi un killer, lo voglio morto’ - riconosceva la Reggiani parlando con la Leosini - Ma quale moglie non ha detto io lo ammazzerei e non lo ha detto con degli amici? Se avessimo trovato tante Pina Auriemma avremmo meno mariti in circolazione “. Queste confidenze però non vennero fatte solamente all’Auriemma. La Reggiani infatti offrì due miliardi di lire alla governante nel 1991, chiedendole se suo marito avesse potuto organizzare l’omicidio di Maurizio e nel 1994 chiese consiglio all’avvocato, per capire cosa sarebbe successo in caso avesse ucciso Gucci.
“Per Patrizia, Gucci era diventato un’ossessione”, spiega al Giornale.it la criminologa Carlini. Poi l’ossessione degenerò nel delitto: “Lei ha compiuto un percorso, ricorrente negli omicidi all’interno di coppie, che scaturisce dalla mancata capacità di gestire l’abbandono, che genera una frustrazione. Man mano che si susseguono i rifiuti, l’ossessione d’amore si trasforma in rabbia e in voglia di vendetta”. Non si tratta di un cambiamento repentino, ma di un percorso in cui sono stati fondamentali alcuni “elementi di svolta: la separazione, l’abbandono delle figlie, l’intenzione di sposare un’altra donna”. Non solo. La Reggiani venne operata anche di tumore al cervello e “la malattia per lei ebbe un valore molto importante, di destabilizzazione”. Così Gucci passò “dall’essere la sua ossessione all’essere una ‘escrescenza da recidere’, come lo definì lei stessa”. Ma non ci fu odio dietro alle sue azioni, stando a quanto ha dichiarato la Reggiani in un’intervista al Corriere della Sera: " Nessun odio. Io non odiavo Maurizio. Non l’ho mai odiato. È stata stizza, la mia. Mi stizziva” .