La moglie, il sicario e il delitto: quella “miscela” che uccise Maurizio Gucci
Soldi, rancore e timore. Sono queste le tre componenti della " miscela esplosiva " che hanno portato, la mattina del 27 marzo 1995, alla morte di Maurizio Gucci, l’imprenditore italiano presidente dell’omonima casa di moda fino al 1993, ucciso mentre entrava nello stabile di via Palestro a Milano, dove aveva lo studio. Un omicidio che aveva condotto in carcere l’ex moglie dell’uomo, Patrizia Reggiani, accusata di essere la mandante del delitto, e altre quattro persone, tra cui gli esecutori materiali. E ora il delitto dell’imprenditore italiano diventerà un film: sono iniziate in Italia le riprese di “House of Gucci”, diretto da da Ridley Scott, con protagonisti Adam Driver e Lady Gaga.
Il delitto Gucci
La mattina del 27 marzo 1995 Maurizio Gucci uscì dal palazzo in Corso Venezia, dove abitava, per recarsi a piedi nel vicino stabile in via Palestro, sede della società Viersee fondata da poco. Una volta arrivato davanti al portone dell’ufficio, Gucci non si accorse di quella Clio verde parcheggiata lì vicino. A bordo c’era il suo killer. Così verso le 8.30 Gucci entrò nel palazzo, ma fece appena in tempo a salire i pochi gradini che separano la portineria dall’androne: un uomo entrò nello stabile, gli sparò tre colpi alla spalla sinistra e al gluteo destro, poi si avvicinò, lo finì con un ultimo colpo alla tempia e si girò per andarsene. Fu allora che vide, poco dietro la porta di ingresso, il portiere dello stabile, che quella mattina stava facendo il suo lavoro, come sempre. Il sicario esplose due colpi anche in direzione dell’uomo, ferendolo a un braccio. Poi uscì di corsa e salì a bordo della Clio verde, guidata da un complice. Morì così Maurizio Gucci, erede della nota casa di moda. E da quel momento iniziò il caso che, tra indagini, operazioni sotto copertura e colpi di scena, ha tenuto col fiato sospeso l’Italia degli anni ‘90.
Le prime indagini si concentrarono sugli affari della vittima, che pochi anni prima aveva ceduto il marchio delle due G alla società araba Investcorp, già proprietaria del 50% del pacchetto azionario. Inizialmente le ricerche condussero gli investigatori in Svizzera: “Una pista precisa non c’è ancora - aveva rivelato il sostituto procuratore che si occupò del caso Carlo Nocerino, come riportò l’Unità all’epoca - anche se quella che riguarda le ultime operazioni finanziarie concluse dalla vittima sembra la più attendibile “. Per questo si iniziò a ricostruire luci e ombre degli affari di Maurizio, passando al setaccio vecchie e nuove conoscenze, per capire se qualcuno in campo finanziario potesse avere interesse a uccidere l’uomo. Ma dopo mesi di indagini in quel campo non emerse nulla. E per due anni nessuna novità scosse il caso Gucci.
Carlos, sotto copertura tra i killer
A dare una svolta alle indagini fu una telefonata, arrivata alla Criminalpol la sera dell'8 gennaio 1997, quasi due anni dopo la morte dell’imprenditore. All’altro capo del filo c’era un uomo, Gabriele Carpanese, che chiese di parlare con il vicequestore Filippo Ninni, sostenendo di avere informazioni sull’omicidio di Maurizio Gucci. Secondo le sue dichiarazioni, dietro al delitto ci sarebbe stata la mano di Patrizia Reggiani, ex moglie della vittima, che avrebbe chiesto all’amica Giuseppina Auriemma di trovarle un killer. La donna quindi si sarebbe rivolta a Ivano Savioni (con cui Carpanese era venuto in contatto, raccogliendo le sue confidenze sul caso Gucci), che avrebbe assoldato Benedetto Ceraulo e Orazio Cicala. Gli inquirenti non persero tempo e inviarono l’informatore, munito di una cimice, a parlare con Savioni che, durante la conversazione, chiese a Carpanese di trovare un sicario per fare pressioni sulla Reggiani, di modo da chiederle più soldi. A quel punto si presentò agli inquirenti l’occasione perfetta per infiltrare un proprio uomo: così nacque il personaggio di Carlos, un colombiano senza scrupoli.
" Prima di incontrare Savioni, ho fatto un paio di telefonate in albergo per chiedere di Gabriele. Parlavo spagnolo “, aveva raccontato l’agente sotto copertura all’Unità. Poi avvenne il primo incontro in una saletta dell’albergo dove lavorava Savioni: " Ho avuto la sensazione che Savioni volesse mettermi alla prova - continua Carlos nell’intervista - Non ho mai detto una parola in italiano, Gabriele faceva da interprete. Quindi, mi offrono una tazzina di caffè, mi chiede se voglio lo zucchero aspettando una risposta immediata. Io non faccio una piega, guardo le altre due tazzine, avevano del latte. Rispondo in spagnolo ‘no, non prendo latte’. Poi parliamo della Colombia. Gabriele gli presenta il mio curriculum di pericoloso killer legato alla mafia di Medellin “. Poi l’occasione: Savioni diede a Carpanese le chiavi della sua auto, inviandolo al ristorante insieme al colombiano. Il fortunato avvenimento permise agli inquirenti di piazzare sulla macchina le microspie necessarie a carpire informazioni. L’incontro successivo avvenne dopo una settimana: " Savioni mi aveva fatto sapere tramite Gabriele che gli serviva aiuto per spillare nuovi soldi a Patrizia Reggiani “. Conversazioni registrate, rivelazioni raccolte e passi falsi fecero giungere gli investigatori a una conclusione del tutto distante dagli affari finanziari dell’imprenditore, che erano stati al centro delle indagini subito dopo l’omicidio. E per i componenti della banda che ha organizzato e portato a termine il delitto scattarono le manette, il 31 gennaio del 1997: l’accusa era quella di omicidio premeditato e tentato omicidio.
Le condanne
Benedetto Ceraulo venne accusato di aver premuto materialmente il grilletto quella mattina del marzo 1995, mentre Orazio Cicala lo aspettava alla guida della Clio verde. I due, secondo i giudici, erano stati assoldati dal portiere d’albergo Ivano Savioni, che a sua volta era stato contattato da Giuseppina Auriemma, una “maga”, come la definì la stampa del tempo. La Auriemma era amica intima di Patrizia Reggiani: a lei l’ex signora Gucci rivelava pensieri e desideri, tra cui anche quello di sbarazzarsi di Maurizio. “Io credo che il ruolo di Pina Auriemma sia stato determinante nella vita della Reggiani - ha rivelato a IlGiornale.it la criminologa e psicoterapeuta Margherita Carlini - lei stessa disse che nell’Auriemma aveva trovato la persona con cui confidarsi e forse senza di lei la Reggiani non sarebbe riuscita a esternare questi aspetti così negativi come la volontà di uccidere”. Secondo la procura, il piano per l’omicidio dell’ex marito costò alla Reggiani 600 milioni di lire.
Il 2 giugno 1998 iniziò il processo: c’erano cinque persone accusate di aver organizzato e messo in atto il piano che portò alla morte di Maurizio Gucci. E il 3 novembre dello stesso anno la Corte d’Assise di Milano dichiarò tutti gli imputati " colpevoli dei reati a loro ascritti “, condannando la Reggiani a 29 anni di carcere quale mandante dell’omicidio e l’Auriemma a 25 anni, riconoscendola come intermediaria. A Savioni e Cicala venne riconosciuta una pena pari rispettivamente a 26 e 29 anni di reclusione, mentre per Ceraulo che aveva sparato il giudice decise di applicare l’ergastolo. I giudici di secondo grado, di fatto, confermarono la colpevolezza di tutto il gruppo, ma la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 17 marzo 2000 ridusse le condanne: 26 anni per Patrizia Reggiani, 19 anni e 6 mesi per Pina Auriemma, 28 anni 11 mesi e 20 giorni a Ceraulo, 26 a Cicala e 20 a Savioni. L’ex signora Gucci fece ricorso in Cassazione, che il 19 febbraio 2001 confermò la sentenza di secondo grado, riconoscendo la donna come mandante dell’omicidio. Il movente sarebbe stato un insieme tra l’aspetto passionale e quello economico: “Quello che i giudici riportano - spiega la criminologa Carlini - è una sorta di miscela esplosiva, cioè una serie di variabili che hanno influito sulla decisione di compiere il delitto. Si tratta di tre elementi: in primo luogo il rancore dovuto alla percezione di un’estromissione da un certo status, in seconda battuta il timore di perdere l’eredità e l’avidità legata all’assegno di mantenimento che la Reggiani si vedeva diminuire e infine una componente importante è stata quella emotiva e passionale”. Nonostante le perizie Patrizia Reggiani non venne mai dichiarata incapace di intendere e di volere, ma secondo i giudici di primo grado la donna soffriva di un disturbo della personalità di tipo istrionico-narcisistico. Ma cosa significa? “la persona istrionica è caratterizzata anche dalla manifestazione esasperata di determinati vissuti - spiega la criminologa - e con narcisistica si intende una personalità che può avere difficoltà ad accettare e gestire il rifiuto. Nel corso del processo la difesa aveva provato a chiedere il vizio di mente, anche legandolo al tumore al cervello per cui la Reggiani era stata operata, ma poi la capacità di intendere e di volere venne dichiarata integra, perché venne riconosciuta un’organizzazione nelle fasi precedenti e successive all’evento”.
La “Liz Taylor della griffe”
Patrizia Reggiani, che negli ambienti del jet set internazionale era stata soprannominata la " Liz Taylor della griffe " per la somiglianza con l’attrice statunitense, si dichiarò " non colpevole “. " Non posso dirmi innocente - aveva rivelato la donna in un’intervista rilasciata a Franca Leosini per il programma Storie Maledette - per tutti gli svarioni che sono andata in giro a dire “. Gli " svarioni " a cui allude la Reggiani sono le frasi, ripetute nel corso del tempo, circa la volontà di uccidere Maurizio Gucci.
Patrizia divenne la signora Gucci nel 1973 ma nel 1985, dopo la nascita delle due figlie Alessandra e Allegra, Maurizio lasciò la moglie per un’altra donna, Paola Franchi. Nel 1992 la Reggiani e Gucci divorziarono ufficialmente. Ma in quegli anni in Patrizia crebbe sempre più velocemente un rancore cieco e l’allontanamento dell’ex marito anche dalle figlie aumentò la voglia di vendetta. " Dicevo: ‘Trovatemi un killer, lo voglio morto’ - riconosceva la Reggiani parlando con la Leosini - Ma quale moglie non ha detto io lo ammazzerei e non lo ha detto con degli amici? Se avessimo trovato tante Pina Auriemma avremmo meno mariti in circolazione “. Queste confidenze però non vennero fatte solamente all’Auriemma. La Reggiani infatti offrì due miliardi di lire alla governante nel 1991, chiedendole se suo marito avesse potuto organizzare l’omicidio di Maurizio e nel 1994 chiese consiglio all’avvocato, per capire cosa sarebbe successo in caso avesse ucciso Gucci.
“Per Patrizia, Gucci era diventato un’ossessione”, spiega al Giornale.it la criminologa Carlini. Poi l’ossessione degenerò nel delitto: “Lei ha compiuto un percorso, ricorrente negli omicidi all’interno di coppie, che scaturisce dalla mancata capacità di gestire l’abbandono, che genera una frustrazione. Man mano che si susseguono i rifiuti, l’ossessione d’amore si trasforma in rabbia e in voglia di vendetta”. Non si tratta di un cambiamento repentino, ma di un percorso in cui sono stati fondamentali alcuni “elementi di svolta: la separazione, l’abbandono delle figlie, l’intenzione di sposare un’altra donna”. Non solo. La Reggiani venne operata anche di tumore al cervello e “la malattia per lei ebbe un valore molto importante, di destabilizzazione”. Così Gucci passò “dall’essere la sua ossessione all’essere una ‘escrescenza da recidere’, come lo definì lei stessa”. Ma non ci fu odio dietro alle sue azioni, stando a quanto ha dichiarato la Reggiani in un’intervista al Corriere della Sera: " Nessun odio. Io non odiavo Maurizio. Non l’ho mai odiato. È stata stizza, la mia. Mi stizziva” .
Delitto Gucci, Patrizia Reggiani: ‘Feci uccidere mio marito per stizza’
Torna alla ribalta Patrizia Reggiani, oggi libera cittadina 72enne. Ha scontato 17 anni di carcere per aver fatto uccidere nel 1995 il suo ex marito, Maurizio Gucci, erede e presidente, fino al 1993, della maison di moda fiorentina. In questi giorni è in lavorazione il film House of Gucci per la regia di Ridley Scott. Patrizia Reggiani è interpretata dalla popstar italoamericana lady Gaga. L’ex lady Gucci ha concesso un’intervista a Sette, rotocalco de Il Corriere della Sera, per raccontare il salto dalla vita dorata all’omicidio del grande amore della sua vita.
Patrizia Reggiani: ‘Non odiavo Maurizio’
“Ho pagato quello che dovevo, avendo fatto uccidere il mio ex marito. Non di più, non di meno”. Parole nette, quelle di Patrizia Reggiani, mandante dell’omicidio commesso il 27 marzo del 1995 a Milano. Lei fu arrestata il 31 gennaio del 1997. Per due anni le indagini non portarono a nulla: si pensava a un intrigo internazionale tra alta finanza, circuiti bancari svizzeri, sceicchi arabi, dopo che Gucci aveva venduto la casa di moda per acquisire una nuova società. E invece, una soffiata condusse gli inquirenti alla “Banda Bassotti”, come l’ha definita Reggiani, composta da tre sicari, Benedetto Ceraulo, Orazio Cicala, Ivano Savioni, e una sedicente maga e sensitiva, Giuseppina Auriemma, amica di Patrizia Reggiani.
Nell’intervista, la cosiddetta Liz Taylor della griffe per la somiglianza con l’attrice, ha ripercorso l’incontro con Gucci. Inizialmente non le piacque affatto: le sembrava avesse “occhi da pesce lesso”, e comunque lei era la regina di Milano, “bisognava andarci piano con me”. Poi l’amore, per 12 anni una vita di coppia all’insegna del lusso, dei viaggi e del divertimenti.
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La fine dell’idillio sarebbe stata causata da amici di lui che avrebbero fatto gruppo contro di lei fino a isolarla.
La donna di oggi nega che fu l’odio il movente dell’omicidio e parla di stizza. Sostiene di non aver mai odiato Maurizio Gucci ma di essere stata da lui ‘stizzata’ a tal punto che ovunque andasse, anche dal salumiere, chiedeva se ci fosse qualcuno disponibile ad ammazzare un uomo.
Un’altra sé rispetto alla Patrizia di qualche anno prima: avevano ucciso un conoscente di Maurizio, e mentre soggiornava alle Galapagos ne parlò proprio con il coniuge ed amici sostenendo di non essere capace di uccidere. In realtà, il movente sarebbe stato economico e passionale insieme, acceso da un sentimento di ‘lesa maestà’ e dalla sete di vendetta. Nel recente documentario ‘Lady Gucci’, mandato in onda su Discovery+, Patrizia ha detto che il momento decisivo fu quando seppe che Maurizio Gucci aveva intenzione di sposare Paola Franchi, sua ex amica e nuova compagna, per cui aveva abbandonato lei e le figlie. Una nuova signora Gucci ed eventualmente altri eredi, sarebbero stati inammissibili: avrebbero messo a repentaglio il suo status e l’integrità del patrimonio.
“Io stavo proteggendo le mie figlie”, ha sostenuto. “Ho un difetto, non ho una buona mira, quindi non potevo fare da sola. ho trovato questa Banda Bassotti che ha compiuto il delitto”, ha raccontato nel documentario.
Patrizia Reggiani, vita a San Vittore
Patrizia Reggiani è stata condannata a 26 anni di carcere, ridotti poi a 17. Li ha scontati nel carcere di San Vittore, da lei ribattezzato vezzosamente Victor’s Residence. Tra gli aneddoti da lei stessa raccontati, l’abitudine di svegliarsi tardi, anche in carcere. La vita in compagnia di un furetto, tra la cella e il giardino della casa circondariale dove prendeva il sole. Le tante letture, la solitudine e la disperazione, tenendosi sempre a distanza dalle alte detenute. Gli anni di carcere sarebbero stati per lei anni di pace, preferibili alla vita fuori.
Quando ha iniziato a usufruire di permessi premio, non vedeva l’ora di tornare in cella. Stare nel mondo l’atterriva. La gestione della sua esistenza, successive alla cattura e alla detenzione, la spaventava. Invece, in carcere, si sentiva al sicuro. La mattina dell’arresto, la polizia le disse che sarebbe stata dentro per poche ore. Voleva arrivare a San Vittore in pelliccia, l’ex ispettore capo Carmine Gallo che la arrestò, le diede, invece, il suo giaccone verde.
Patrizia Reggiani ha cambiato idea su lady Gaga
Patrizia Reggiani ha cambiato idea: lady Gaga le somiglia ed è credibile. Le scorse settimane, la vedova Gucci aveva criticato aspramente la popstar: “Interpreta me senza avermi mai incontrata”, aveva detto lamentando di non essere stata interpellata dall’attrice prima di iniziare le riprese.
Ora, invece, ha dato il suo assenso: andrà a vedere il film appena riapriranno le sale cinematografiche. Il set da Milano, intanto, si è spostato a Roma. Nel cast ci sono anche Al Pacino, Jeremy Irons e Jared Leto.
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A Storie Italiane si torna a parlare dell’omicidio di Maurizio Gucci, per cui è stata condannata e arrestata (pena già scontata), Patrizia Reggiani. In collegamento da Milano c’è Carmine Gallo, l’ex ispettore capo che nel 1995 arrestò proprio Lady Gucci andando a prenderla a casa sua. Le immagini del fermo fecero il giro dei telegiornali, e in quell’occasione Patrizia Reggiani apparve con addosso uno strano cappotto, non un abito a cui la stessa aveva abituato i media: “Aveva il mio giaccone – ha spiegato oggi l’ex poliziotto Carmine Gallo – perchè quando siamo andati ad arrestarla lei aveva indossato una pelliccia abbastanza costosa, poi quando c’era da accompagnarla in carcere le ho detto che non era il caso di indossare quella pelliccia e gliel’ho fatta togliere; a quel punto era rimasta solo con un maglioncino addosso e io le ho dato il mio giaccone”.
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L’ex ispettore ha aggiunto: “Quella mattina che siamo andati in casa sua per arrestarla, non sentiva il campanello, abbiamo dovuto rompere il vetro della porta d’ingresso. Una volta dentro, le abbiamo detto che eravamo della polizia, mi sono presentato e che c’era un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso di omicidio. Non era agitata, l’ho fatta accomodare sul divano, le ho spiegato le ragioni dell’arresto, lei l’ha sfogliata e mi ha detto: ‘l’omicidio di mio marito è stato un incidente e chiarirò tutto davanti al magistrato'”.
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L’ex poliziotto Carmine Gallo è stato quindi interpellato sul film che sta girando Lady Gaga proprio sull’omicidio Gucci: “Ho vissuto questa storia in diretta, in tutte le sue fasi, ma la signora Reggiani l’ho conosciuta poco. C’è sicuramente una somiglianza fra due donne (la Reggiani e Lady Gaga ndr), può essere una buona interpretazione da parte di Lady Gaga. Non so da chi vengo interpretato, neanche sapevo che ci fosse un film sul caso Gucci”. Sulal famosa maga Giuseppina Auriemma: “L’avevamo arrestata a Napoli, poi è venuta a Milano con gli altri colleghi della polizia di Napoli. Era molto più agitata della signora Reggiani, ha sempre negato tutto, negava qualsiasi cosa. Savioni (il sicario ndr) raccontava che il movente dell’omicidio di Gucci era il fatto che la Reggiani non volesse abbandonare il cognome, c’erano sempre liti col marito perchè lei voleva usarlo”.
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